mercoledì 18 dicembre 2019

Si fa insieme?



Il video ritrae Valentina Isidori mentre illustra l'esecuzione di una tecnica di Judo con un suo compagno di pratica Davide Quilibet, entrambi allievi di Marco Isidori del Dojo Mukei di Siena. Ho volutamente separato questo video per evidenziare un modo di praticare sul tatami, una donna che mostra avvalendosi di un uomo, dovrebbe essere universalmente accettato. Considerato un modello naturale in certi ambienti del judo, esso viene meno in altri (tutto al più con l’inversione dei ruoli) e, negli ambienti sportivi in generale, raramente, se non del tutto trascurato; questo genera non poche problematiche, dapprima tra gli sportivi e quindi nello sport, poi, allargandolo come conseguenza naturale, in ambito sociale. Il praticare insieme, uomo e donna, bimbo e adulto, insegnante ed allievo, in cui una volta prevale l’uno ed una volta l’altro offre numerose positività: favorisce l’accettazione delle diverse peculiarità, la libertà che lascio esprimere e la ricchezza che ricevo da tale opportunità, il livello di complicità in cui ci si trova a condurre insieme, per vincere certamente, ma sulla vita, lealmente, raggiungendo quel livello di considerazione che non tradisce i valori umani quali, il senso dell’amicizia, la sincerità che sono pronto a mostrare, l’aiuto che mi auspico reciproco, il rispetto per l’altro. Molti diranno che è difficile o addirittura impossibile praticare uomo e donna, bimbi e adulto, ecc., insieme, per via della forza dell’uomo nel vigore degli anni, per la fragilità della donna, per la rigidità che accompagna l’età. Ma se pensiamo bene a come invece accade nella quotidianità, osserviamo che uomini, donne, bambini, non più giovani, condividono le stessi ambienti e problematiche, trascorrono tutta la vita, insieme. Non sarebbe il caso allora di iniziare ad abituare a questo modello sin da piccini? Lo sport potrebbe essere utilizzato per questo scopo ma occorre uno sforzo per renderlo adatto a svolgere questo compito. Il bimbo che osserva un certo modo di fare, ne assorbe (nel bene e nel male), i contenuti e, molto probabilmente, agirà di conseguenza. Ma allora perché non approfittare di questa opportunità per porlo, il bambino, con un sentimento positivo nei confronti dell’altro. E non è forse responsabilità di tutti noi convogliare gli sforzi, fisici e mentali, al raggiungimento di tale obiettivo? Quindi tornando ai nostri Valentina e Davide che, attraverso il Judo esprimono questi concetti in poco più di un secondo, cercano di offrire un esempio, al giovane di copiarne le fattezze, all’adulto di come fare meglio. Certo, il judo contiene delle intrinseche potenzialità (nel Judo si pratica insieme e si è portati ad indicare l’altro come “compagno di pratica”), che magari gli sport non hanno (si tende, purtroppo, ad essere uno contro l’altro), indicando l’altro, in quest’ultimo caso, singolo o squadra che sia, come “avversario”. Ma come il fondatore del Judo ha trasformato una disciplina violenta e screditata come il Ju-jutsu, in Judo (un metodo educativo), altri ambienti potrebbero realizzare questo, trasformando la tecnica ed arricchendoli di valori morali. Ma forse, soprattutto la mentalità occidentale, struttura la Società utilizzando ancora i, dal tempo superati, screditati modelli del Ju-jutsu. SC

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