Il video ritrae Valentina Isidori mentre illustra l'esecuzione di una tecnica di Judo con un suo compagno di pratica Davide Quilibet, entrambi allievi di Marco Isidori del Dojo Mukei di Siena. Ho volutamente separato questo video per evidenziare un modo di praticare sul tatami, una donna che mostra avvalendosi di un uomo, dovrebbe essere universalmente accettato. Considerato un modello naturale in certi ambienti del judo, esso viene meno in altri (tutto al più con l’inversione dei ruoli) e, negli ambienti sportivi in generale, raramente, se non del tutto trascurato; questo genera non poche problematiche, dapprima tra gli sportivi e quindi nello sport, poi, allargandolo come conseguenza naturale, in ambito sociale. Il praticare insieme, uomo e donna, bimbo e adulto, insegnante ed allievo, in cui una volta prevale l’uno ed una volta l’altro offre numerose positività: favorisce l’accettazione delle diverse peculiarità, la libertà che lascio esprimere e la ricchezza che ricevo da tale opportunità, il livello di complicità in cui ci si trova a condurre insieme, per vincere certamente, ma sulla vita, lealmente, raggiungendo quel livello di considerazione che non tradisce i valori umani quali, il senso dell’amicizia, la sincerità che sono pronto a mostrare, l’aiuto che mi auspico reciproco, il rispetto per l’altro. Molti diranno che è difficile o addirittura impossibile praticare uomo e donna, bimbi e adulto, ecc., insieme, per via della forza dell’uomo nel vigore degli anni, per la fragilità della donna, per la rigidità che accompagna l’età. Ma se pensiamo bene a come invece accade nella quotidianità, osserviamo che uomini, donne, bambini, non più giovani, condividono le stessi ambienti e problematiche, trascorrono tutta la vita, insieme. Non sarebbe il caso allora di iniziare ad abituare a questo modello sin da piccini? Lo sport potrebbe essere utilizzato per questo scopo ma occorre uno sforzo per renderlo adatto a svolgere questo compito. Il bimbo che osserva un certo modo di fare, ne assorbe (nel bene e nel male), i contenuti e, molto probabilmente, agirà di conseguenza. Ma allora perché non approfittare di questa opportunità per porlo, il bambino, con un sentimento positivo nei confronti dell’altro. E non è forse responsabilità di tutti noi convogliare gli sforzi, fisici e mentali, al raggiungimento di tale obiettivo? Quindi tornando ai nostri Valentina e Davide che, attraverso il Judo esprimono questi concetti in poco più di un secondo, cercano di offrire un esempio, al giovane di copiarne le fattezze, all’adulto di come fare meglio. Certo, il judo contiene delle intrinseche potenzialità (nel Judo si pratica insieme e si è portati ad indicare l’altro come “compagno di pratica”), che magari gli sport non hanno (si tende, purtroppo, ad essere uno contro l’altro), indicando l’altro, in quest’ultimo caso, singolo o squadra che sia, come “avversario”. Ma come il fondatore del Judo ha trasformato una disciplina violenta e screditata come il Ju-jutsu, in Judo (un metodo educativo), altri ambienti potrebbero realizzare questo, trasformando la tecnica ed arricchendoli di valori morali. Ma forse, soprattutto la mentalità occidentale, struttura la Società utilizzando ancora i, dal tempo superati, screditati modelli del Ju-jutsu. SC
D o j o K o s h i k i
mercoledì 18 dicembre 2019
Si fa insieme?
Il video ritrae Valentina Isidori mentre illustra l'esecuzione di una tecnica di Judo con un suo compagno di pratica Davide Quilibet, entrambi allievi di Marco Isidori del Dojo Mukei di Siena. Ho volutamente separato questo video per evidenziare un modo di praticare sul tatami, una donna che mostra avvalendosi di un uomo, dovrebbe essere universalmente accettato. Considerato un modello naturale in certi ambienti del judo, esso viene meno in altri (tutto al più con l’inversione dei ruoli) e, negli ambienti sportivi in generale, raramente, se non del tutto trascurato; questo genera non poche problematiche, dapprima tra gli sportivi e quindi nello sport, poi, allargandolo come conseguenza naturale, in ambito sociale. Il praticare insieme, uomo e donna, bimbo e adulto, insegnante ed allievo, in cui una volta prevale l’uno ed una volta l’altro offre numerose positività: favorisce l’accettazione delle diverse peculiarità, la libertà che lascio esprimere e la ricchezza che ricevo da tale opportunità, il livello di complicità in cui ci si trova a condurre insieme, per vincere certamente, ma sulla vita, lealmente, raggiungendo quel livello di considerazione che non tradisce i valori umani quali, il senso dell’amicizia, la sincerità che sono pronto a mostrare, l’aiuto che mi auspico reciproco, il rispetto per l’altro. Molti diranno che è difficile o addirittura impossibile praticare uomo e donna, bimbi e adulto, ecc., insieme, per via della forza dell’uomo nel vigore degli anni, per la fragilità della donna, per la rigidità che accompagna l’età. Ma se pensiamo bene a come invece accade nella quotidianità, osserviamo che uomini, donne, bambini, non più giovani, condividono le stessi ambienti e problematiche, trascorrono tutta la vita, insieme. Non sarebbe il caso allora di iniziare ad abituare a questo modello sin da piccini? Lo sport potrebbe essere utilizzato per questo scopo ma occorre uno sforzo per renderlo adatto a svolgere questo compito. Il bimbo che osserva un certo modo di fare, ne assorbe (nel bene e nel male), i contenuti e, molto probabilmente, agirà di conseguenza. Ma allora perché non approfittare di questa opportunità per porlo, il bambino, con un sentimento positivo nei confronti dell’altro. E non è forse responsabilità di tutti noi convogliare gli sforzi, fisici e mentali, al raggiungimento di tale obiettivo? Quindi tornando ai nostri Valentina e Davide che, attraverso il Judo esprimono questi concetti in poco più di un secondo, cercano di offrire un esempio, al giovane di copiarne le fattezze, all’adulto di come fare meglio. Certo, il judo contiene delle intrinseche potenzialità (nel Judo si pratica insieme e si è portati ad indicare l’altro come “compagno di pratica”), che magari gli sport non hanno (si tende, purtroppo, ad essere uno contro l’altro), indicando l’altro, in quest’ultimo caso, singolo o squadra che sia, come “avversario”. Ma come il fondatore del Judo ha trasformato una disciplina violenta e screditata come il Ju-jutsu, in Judo (un metodo educativo), altri ambienti potrebbero realizzare questo, trasformando la tecnica ed arricchendoli di valori morali. Ma forse, soprattutto la mentalità occidentale, struttura la Società utilizzando ancora i, dal tempo superati, screditati modelli del Ju-jutsu. SC
martedì 3 ottobre 2017
Trastullare i pargoli o sfruttare intelligentemente un’occasione educativa?
Premetto che provengo da una scuola dove si affermava che le definizioni sono fondamentali perché, parlando della stessa cosa attribuendogli un significato diverso, è difficile capirsi …
Parto alla lontana osservando che, da tempo, impera
il dixit “importante è divertirsi” (messaggio che contiene quel valore nascosto
di esimere dal pensare ed intrapresa dall’essere umano quando sente che la vita
cade miserevolmente nell’inutilità), uno stato di cose dove tutte le occasioni
sono buone, quali: compleanni esagerati, feste di calendario al limite del
ridicolo, feste inventate, purché si faccia festa ragazzi, ma divertendosi alla
follia… (molte volte alle spalle degli altri, mal considerando quella
differenza, sottilmente enunciata da Carlo Maria Cipolla, tra ‘umorismo’ ridere
con gli altri, ed ‘ironia’ ridere degli altri).
E come se il divertimento, di per sé, contenesse
delle positività.
Potrebbe conseguirne uno stato di gioia, quel
sentimento che ‘genera energia e
valorizza la vita’, ma non è detto che il divertimento vi ci conduca anzi,
la maggior parte delle occasioni ‘divertenti’ generano sentimenti non
equilibrati quali confusione, eccitamento, rabbia, emulazione, tristezza, pianto
e, in alcuni casi, episodi di violenza.
E nell’educare i giovani per mezzo dello ‘Sport’ come
facciamo? Li facciamo divertire?
Considererei invece insegnare con gioia, quella
didattica chiara e preparata che genera soddisfazione (non un sentimento di
astio che genera “l’avversario” anziché il “compagno”), consapevolezza (si impara
a gestire il corpo e se stessi), amicizia (e non quella inimicizia generata dal
conseguente sfottò per la sconfitta in gara), si impara cose utilizzabili nella
vita pratica (e quindi non soltanto quelle aride regole di gara, limitate a
quel determinato spazio di gioco).
Citando una frase del Fondatore del Judo (disciplina
che ho scelto, non a caso, ma dopo aver sperimentato, Calcio, Pallavolo,
Tennis, Karate, Ju-jutsu, Aikido, Yoga):
Jigoro Kano (gennaio
1927)
“ Tanto
grandioso è il disegno a cui aspira il Kodokan che, in ragione della sua
profondità ed ampiezza, non è stato sempre compreso dal pubblico, al contrario
di altre cose superficiali e anguste che si diffondono e vengono capite
agevolmente e senza ostacoli dalla logica comune…”.
Educare i nuovi venuti è compito impegnativo ed il
più delle volte si cade facilmente nel ‘dare ciò che piace’, ma la bellezza di
seguire una Via non lascia spazio all’egoismo (che va controllato non eliminato).
Basta però con le idee confuse (cito ad esempio
quando qualcuno introduce il verbo ‘plagiare’: ma se il significato ci trova in
accordo, “esercitare un’ascendente intellettuale e morale” , allora direi che
ognuno di noi ogni giorno plagia…), basta seguire un sano buon senso (o un buon
insegnamento ma, come si sceglie è ancora cosa angusta… basta cercare) e la
vita sarà sicuramente più impegnata ma di certo molto più interessante e divertente.
venerdì 22 settembre 2017
Attività giocosa, motoria, sport...
A settembre inizia il nuovo anno scolastico ed anche la ricerca delle attività sportive per i propri figli.
Qualcuno
asserisce che il genitore deve scegliere, altri il pargolo: in entrambi i casi,
la decisione potrebbe rivelarsi errata.
Un pensiero comune vuole che nostro figlio (o figlia) faccia un’attività del corpo, perché fa bene, perché socializza, perché si sfoga, perché…, ecc.
Un pensiero comune vuole che nostro figlio (o figlia) faccia un’attività del corpo, perché fa bene, perché socializza, perché si sfoga, perché…, ecc.
In via di
principio il ragionamento è corretto e, nella maggior parte dei casi lo sport sopperisce
a questa scelta ma, se semplicistica, potrebbe rivelarsi controproducente.
La ragazza o
il ragazzo che sia, deve aver conquistato (nella fascia che va dai 2/3 ai 6
anni di età) quelle competenze motorie di base che sopperiscono ai vizi della tenera
età (che riconducono tutte a quella insufficiente capacità motoria conosciuta
come deficit dell’apprendimento) attraverso degli esercizi motori che ne favoriscono
il corretto apprendimento.
Quante volte
dopo un breve periodo trascorso a praticare uno sport il figliolo lo abbandona perché
“non riesce”, “non è portato” qualcuno asserisce, “non gli piace”, nella
maggior parte dei casi non è propriamente così.
Con un
pochino di attenzione ci si accorge che il bambino non sa correre, piegarsi
sulle gambe, striscia scoordinato…, ma allora come potrebbe riuscire a calciare
una palla, colpirla con una racchetta, restare in piedi mentre il compagno tira
e spinge… capiamo bene che come abbiamo imparato prima a gattonare poi a
camminare eretti dovremmo seguire le stesse metodologie per conquistare degli
stadi motori più complessi.
Molte volte
questo stato di cose derivano da quella mancanza motoria che mette in una
situazione d’incapacità, il ragazzo non riesce a superare quelle situazioni che
necessitano di competenze motorie avanzate, nonché specifiche….
Questi
stadi, chiamiamoli di maturazione motoria, avvengono per gradi, attraverso
metodologie didattiche specifiche del corpo e non, invece, spiegando stando seduti
ad un banco a scrivere e parlare (didattiche che mal si adattano ad un’età che richiama
allegria, vitalità e spensieratezza), anche se potremmo inventare metodologie
di apprendimento più gradite (un brillante Vittorino da Feltre insegnava la
matematica facendo tirare con l’arco…).
La mancanza
dell’esperienza motoria si rivela ripercuotersi sulla personalità: probabile mancanza
di fiducia nei propri confronti e quindi una conseguente incapacità di stima
del proprio operato, le mancate occasioni nel rapporto con l’altro fatta di
aiuto reciproco, amicizia, confidenza, ma anche di discussioni animate sulle nostre
vedute.
Un libero consiglio
che potrei dare ai genitori che cercano un’attività adatta al proprio figliolo
è quello di cercare l’insegnante che sia sensibile a questi argomenti, un
insegnante che abbia trascorso un periodo della propria vita a formarsi e che
abbia ricevuto un’Educazione (anche fruibile nell’ambito sportivo e quindi in
grado di insegnarla), tale da cercare di costruire insieme; l’attività che poi si
sceglie è indifferente, in quanto, ragazzi naturalmente troppo giovani di
esperienze, potrebbero sbagliare scegliendo secondo gli impulsi dei media,
amici, conoscenti, mode…
La ragazza o
ragazzo che sia, una volta pronto dal punto di vista fisico, potrà scegliere l’attività
sportiva che più gli aggrada e deve riuscire a raggiungere i risultati che
vuole nel massimo delle proprie capacità (certamente non allo stesso livello
per tutti) e tutti sanno quanto siano importanti tali attenzioni in un certo
periodo della vita (2/3-11 anni di età).
Occorre un
coro unanime laddove i ragazzi si recano per imparare: a casa, nelle strutture
scolastiche, negli oratori, nei centri sportivi, affinché i ragazzi non siano
confusi dalle diverse proposte istruttive (tenendo sempre presente che
“istruzione” ed “educazione”, non sono sinonimi), in quanto, l’inserimento di quest’ultime
in un programma formativo, potrebbe arginare quel fenomeno di bullismo sportivo
che irride il più debole (perdente?) e acclama il più forte (vincitore?),
situazioni che nulla di positivo apportano alla costruzione della vita.
E allora
cercare persone di esperienza (quasi mai di giovane età), persone che sappiano
porsi il problema Educativo prima di quello Sportivo (mi scuseranno i dotti, ma
la definizione di Educazione comunemente intesa e riportata su molti testi non
soddisfa appieno le esigenze della quotidianità).
Una
figura nata più di una decina di anni fa, quella di Educatore Sportivo (ad esempio),
era stata voluta dalle maggiori Organizzazioni Sportive per rispondere a
quella lacuna organizzativa che non prevedeva la parte educativa inclusa nello
sport, quest’ultimo utilizzato ancora oggi per vincere a tutti i costi e che allontana
da quei valori come amicizia, l’aiuto reciproco, il rispetto, la comprensione,
ecc. che la maggioranza attribuisce allo sport ma che non se ne vedono gli
effetti.
Ma lo
sappiamo, di parole e di regole ne è pieno il mondo poi però è necessario tradurle
in formule pratiche, gli orientali ci insegnano che queste cose iniziano dal
corpo (che ci mette mesi o anni a comprendere un movimento).
Un certo
tipo di Sport (non tutto e di ogni specialità è necessario scegliere l’ambiente
adatto), può favorire questi valori e guadagnare queste conoscenze, ma occorre
intelligenza, onestà e coerenza che, spesso, mal si associano a Club Sportivi
tesi a guadagnare popolarità sfruttando le occasioni ed i ragazzi del momento.
Che chiedano
i genitori, gli insegnanti, i ragazzi, che si facciano prima un’idea di quello
che offre il territorio, chiedano all’insegnante di turno che (sicuramente
d’esperienza altrimenti è meglio non faccia l’insegnante) dovrebbe dipanare i
propri dubbi e che sia pronto ad iniziare insieme una nuova avventura ma deve
convincerci con argomentazioni (possibilmente comprensibili anche da chi non è
nel settore) guarnite di buon senso: questo è già un buon punto d’inizio per un
rapporto senza secondi fini e teso a considerare la crescita dell’altro (che
non si esprime soltanto in centimetri e chilogrammi).
Al riguardo voglio
chiudere questo breve articolo con un illuminante citazione del Fondatore del
Judo, datata, ma sempre attualissima (una differenza tra Sport e Via?):
“ E vorrei rivolgermi agli Insegnanti di Judo per
raccomandare di non accanirsi troppo nell’insegnamento tecnico perché è
importante formare uomini e non tecnici; altrimenti andrà persa la stima degli
allievi e dei loro familiari ”.
(Jigoro Kano -
gennaio 1932)
Buon cammino … tutti insieme.
mercoledì 20 settembre 2017
Ju-Do o Ju-Sport?
Ju-Do o Ju-Sport?
Un
fenomeno che si verifica, soprattutto nel Judo che amiamo e condividiamo, è la
quotidiana (pubblica e non) discussione su chi è il più forte, il più bello, il
più bravo, ecc.; sarebbe più fruttuoso, a vantaggio del judo, dirigere le
nostre energie nel cercare una coesione attraverso ciò che ci unisce e non
sprecare tempo e risorse nel cercare le naturali nostre differenze (che in un
organismo sano dovrebbero essere sinonimo di ricchezza), considerate in una
errata accezione negativa (motivo di divisione).
_______________________
Il
sotto riportato scritto è RISERVATO soltanto a quelli che ritengono “Judo
Kyohon” un testo di riferimento del Judo di Kano (scritto che viene citato a
proposito dei Tornei studenteschi ma che, soprattutto nelle righe finali, indica
un percorso possibile di mutua convivenza):
“ A
parte lo spirito di confronto, che può giovare senza meno come affinamento
tecnico, un modo di interpretare questi incontri potrebbe essere ‘ospitalità’:
accettare altri, esercitare insieme, star bene insieme, scoprire insieme. In
tal modo ci si confronta anche sullo spirito e sul comportamento: se sono in
difetto, imparerò dall’avversario, se invece è in difetto l’altro, questa volta
sarò io la sua guida; stringiamo l’amicizia per conoscerci meglio e per
liberarci dal pregiudizio di voler confrontare la nostra scuola di provenienza,
dal momento che noi, ora divisi ciascuno dalla propria scuola, domani saremo
insieme a lavorare per la causa del Paese e della Società”.
(Judo
Kyohon - Jigoro Kano 1922)
_________________________
Permettetemi però di constatare l’errore
di fondo, che nasce dal fatto che in Italia non esiste una Federazione di Judo,
fenomeno che favorisce il prolificare di quotidiane forme di Organizzazione con
nuove regole, riconoscimenti, gradi e qualifiche (da cui ne derivano altrettante
regole, ecc. e conseguenti differenti capacità): da qui una naturale confusione,
soprattutto nei confronti del pubblico, che non conosce.
Il problema di sempre, almeno nel Judo (Via
dell’Adattabilità), è che dovrebbe essere chiara la
differenza tra una Via (che possiamo definire come “la possibilità di poter
diventare migliori”) ed uno Sport (come “vincere a tutti i costi”) di modo che
una persona che voglia praticare, possa scegliere la realtà più adatta (dove si
pratica uno Sport o dove si segue una Via), secondo attitudine e piacere.
La distinzione permetterebbe a molti
altri di avvicinarsi al Judo, non più visto soltanto come una prestazione
fisica che pone la vittoria come risultato finale, ma una sana attività da
inserire nel quotidiano.
I praticanti che abbandonano invece la
frequenza dopo qualche anno (a causa di un incidente, assai frequente in certi
ambienti, o dal cambiamento dell’assetto lavorativo, o per necessità
familiari), superati gli anta, a causa del considerevole impegno che
caratterizza gli allenamenti (tipico di una certa fase della vita, ma anomalo
dal punto di vista della consapevolezza), con una sorta di rammarico, non
riescono a continuare serenamente il proprio percorso judoistico.
La proposta (inascoltata), di scindere Ju-Do
e Ju-Sport innovativa per onestà e lungimiranza, troverebbe invece un
considerevole favore di quel pubblico che, vuoi per un retaggio culturale che
per una sorte di abitudine, è mal posta nei confronti di questa bellissima
disciplina che molte volte delude per la sua mancanza di adattabilità.
L’ampia proposta del Judo
permette molte più possibilità rispetto a come viene presentato dall’attuale
Federazione Sportiva in capo al CONI.
Non considerando il Judo nella
sua interezza e snaturando la proposta del Sig. Kano limitandola ad un semplice
sport, ne abbiamo minato le fondamenta, a svantaggio dell’esecuzione tecnica
magistrale, della limitata conoscenza del bagaglio tecnico, della posizione
corretta, del rispetto dell’altro (e di se stessi), della sana interpretazione
di vittoria e di sconfitta, del naturale senso di amicizia che dovrebbe
scaturire da uno sport, della peculiarità di disciplina educativa (che si
presta alle più fantasiose definizioni e metodi), del necessario e civile aiuto
reciproco, nel sentirsi judoisti del mondo e non di una ristretta cerchia di
conoscenti.
Una coraggiosa disgressione (ma
non troppo) potrebbe porre attenzione sugli effetti sociali e la sua relazione
con la formazione di bimbi ed adolescenti ed i fenomeni ai quali assistiamo,
che riguardano il mancato inserimento sociale, l’incomprensione tra età e sessi,
il bullismo, … , tutte mancate occasioni educative del Judo che, per la sua
potenziale natura, potrebbe favorire l’instaurarsi di una migliore coesione
sociale.
E tutto questo non viene
considerato dai più e dai tanti che si fregiano di seguire il Judo di Kano ed è
un peccato, poiché il Judo rappresenta una delle rare possibilità date
all’essere umano di potersi riscattare come essere vivente, soprattutto nel
rapporto con i suoi simili.
sc
venerdì 9 dicembre 2016
Il JUDO e la sua valenza sociale
Una proposta che inserisce il Judo tra i metodi socialmente evoluti.
Dagli scritti del Fondatore:
“ Il Judo è la Via (Do) più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. Allenarsi nella disciplina del judo significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale.
Il perfezionamento così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del judo “.
martedì 12 gennaio 2016
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